giovedì 1 settembre 2016

Racconto n. 5 di Laura da Soresina (CR) (RaccontAssisi)



L’operazione al cuore è andata bene. E’ stata difficile ma il chirurgo è stato bravo. Nelle orecchie queste parole mi hanno accompagnato ad Assisi pochi giorni dopo averle sentite. Un soggiorno di ringraziamento. Sono andata in compagnia, quasi di un fratello: Stefano. Era il suo regalo per il mio 34esimo compleanno. Una vera sorpresa. La data l’abbiamo fissata per Aprile. Tanto il papà sarebbe stato operato a febbraio. Così mi avevano detto. E invece venti giorni prima, il fatto. E non è stato l’unico. Ormai è dal 2008 che la mia vita è cadenzata da ospedali e preghiere. E sì che le primavere non sono tante. Sarà un segno del cielo per rendermi più forte? Un fulmine, diversi tuoni ci hanno sostenuto durante il viaggio. Nella vita come ad Assisi. E così a distanza di parecchi inverni da quando avevo il grembiulino bianco della Quinta elementare l’ho rivista. Mi ha accolto dal suo monte. Subasio. Dopo aver visto la Porziuncola, il cuore, stavolta il mio, si è aperto. Tra le rocce e i vicoli. Nel sole che ogni tanto spuntava tra il grigio delle nuvole. Quasi come essere staccati dal resto del mondo. Quasi come se tutto il mondo fosse solo lì. La nebbia ci ha avvolto in più di un’occasione. Soprattutto di sera. E sì che a Cremona non è una novità. Eppure anche ad Aprile può esserlo. Come una panna densa e golosa mi ha attirato verso la Basilica di San Francesco. Un invito che non ho lasciato in sospeso. Sospesa in un oltre che del profumo della Fede aveva il tocco. I pensieri se ne sono andati per i fatti loro. Sono scivolati sulle vetrate. Hanno inciampato nei gradini. Si sono avvicinati in punta di piedi sui segni lasciati dal terremoto. Scrutando i resti del Santo si sono chiesti se forse a quel tempo una vita così, lì, non fosse poi tanto difficile farla. Il ricordo del litigio con il padre li ha riportati a terra. Rossa. Dura. E si sono inginocchiati. Tra la polvere di tante altre terre, portate da tante altre scarpe, si sono mischiate alla mia. E l’impasto è stato anche sotto la superficie. Nel silenzio. Pace e bene. Mi afFIDO perché mi FIDO. E quindi? Che dubbi avevo ancóra? L’àncora a cui aggrapparmi sapevo quale fosse. Eppure nell’animo umano c’è un groviglio di sensazioni che più le tiri, più si ingarbugliano. E ti ingabbiano. La linearità non fa per me. Le cose semplici nemmeno. Eppure lì tutto parlava di questo. Tutto era sfacciatamente quello. E io pur sapendolo, non lo accoglievo. Cercavo altri why ai miei because. C’era tanto lavoro ancora da fare. Camminare. Salire. Scendere. Guardare. Aspettare. Lasciare. Cantare. Nelle viuzze aggrappate alla roccia, quando occhi indiscreti erano lontani, io e Ste abbiamo cantato. Forza venite Gente. Il musical. Anni fa proprio lui era il protagonista. Frate Francesco. Sorella Provvidenza. Semplicità sorella mia. Ritorna nuovamente. Ritornerò di nuovo. Non vorrei far passare altri autunni e estati. Non so quando sarà possibile. Non so quanto. Tanto mi ha impressionato un uomo che ho visto vestito di cenci. Mi ha dato un libro con la sua storia. Durante il conclave di Papa Francesco ha pregato sotto la pioggia, in ginocchio in San Pietro. Senza chiedersi se avesse senso domandare a Dio un Papa che assomigliasse al Santo della sua città. Il significato gli è stato dato poi. Chiedete e vi sarà dato. Nell’invidia semplice di chi vive senza chiedere. Di chi fa senza dire. Di chi dice, ma non si sostituisce. Di chi non ha paura di seguire un altro sentiero. Nella vita così come per giungere all’Eremo delle Carceri. Faticoso. Difficile. Strano. Semplicemente. Solo. Per chi non lo fa.