L’operazione
al cuore è andata bene. E’ stata difficile ma il chirurgo è stato bravo. Nelle
orecchie queste parole mi hanno accompagnato ad Assisi pochi giorni dopo averle
sentite. Un soggiorno di ringraziamento. Sono andata in compagnia, quasi di un
fratello: Stefano. Era il suo regalo per il mio 34esimo compleanno. Una vera
sorpresa. La data l’abbiamo fissata per Aprile. Tanto il papà sarebbe stato
operato a febbraio. Così mi avevano detto. E invece venti giorni prima, il
fatto. E non è stato l’unico. Ormai è dal 2008 che la mia vita è cadenzata da
ospedali e preghiere. E sì che le primavere non sono tante. Sarà un segno del
cielo per rendermi più forte? Un fulmine, diversi tuoni ci hanno sostenuto
durante il viaggio. Nella vita come ad Assisi. E così a distanza di parecchi
inverni da quando avevo il grembiulino bianco della Quinta elementare l’ho
rivista. Mi ha accolto dal suo monte. Subasio. Dopo aver visto la Porziuncola,
il cuore, stavolta il mio, si è aperto. Tra le rocce e i vicoli. Nel sole che
ogni tanto spuntava tra il grigio delle nuvole. Quasi come essere staccati dal
resto del mondo. Quasi come se tutto il mondo fosse solo lì. La nebbia ci ha
avvolto in più di un’occasione. Soprattutto di sera. E sì che a Cremona non è
una novità. Eppure anche ad Aprile può esserlo. Come una panna densa e golosa
mi ha attirato verso la Basilica di San Francesco. Un invito che non ho
lasciato in sospeso. Sospesa in un oltre che del profumo della Fede aveva il
tocco. I pensieri se ne sono andati per i fatti loro. Sono scivolati sulle
vetrate. Hanno inciampato nei gradini. Si sono avvicinati in punta di piedi sui
segni lasciati dal terremoto. Scrutando i resti del Santo si sono chiesti se
forse a quel tempo una vita così, lì, non fosse poi tanto difficile farla. Il ricordo
del litigio con il padre li ha riportati a terra. Rossa. Dura. E si sono
inginocchiati. Tra la polvere di tante altre terre, portate da tante altre
scarpe, si sono mischiate alla mia. E l’impasto è stato anche sotto la
superficie. Nel silenzio. Pace e bene. Mi afFIDO perché mi FIDO. E quindi? Che
dubbi avevo ancóra? L’àncora a cui aggrapparmi sapevo quale fosse. Eppure
nell’animo umano c’è un groviglio di sensazioni che più le tiri, più si
ingarbugliano. E ti ingabbiano. La linearità non fa per me. Le cose semplici
nemmeno. Eppure lì tutto parlava di questo. Tutto era sfacciatamente quello. E
io pur sapendolo, non lo accoglievo. Cercavo altri why ai miei because. C’era
tanto lavoro ancora da fare. Camminare. Salire. Scendere. Guardare. Aspettare.
Lasciare. Cantare. Nelle viuzze aggrappate alla roccia, quando occhi indiscreti
erano lontani, io e Ste abbiamo cantato. Forza venite Gente. Il musical. Anni
fa proprio lui era il protagonista. Frate Francesco. Sorella Provvidenza.
Semplicità sorella mia. Ritorna nuovamente. Ritornerò di nuovo. Non vorrei far
passare altri autunni e estati. Non so quando sarà possibile. Non so quanto.
Tanto mi ha impressionato un uomo che ho visto vestito di cenci. Mi ha dato un
libro con la sua storia. Durante il conclave di Papa Francesco ha pregato sotto
la pioggia, in ginocchio in San Pietro. Senza chiedersi se avesse senso
domandare a Dio un Papa che assomigliasse al Santo della sua città. Il
significato gli è stato dato poi. Chiedete e vi sarà dato. Nell’invidia
semplice di chi vive senza chiedere. Di chi fa senza dire. Di chi dice, ma non
si sostituisce. Di chi non ha paura di seguire un altro sentiero. Nella vita
così come per giungere all’Eremo delle Carceri. Faticoso. Difficile. Strano.
Semplicemente. Solo. Per chi non lo fa.